Artist


Murato vivo
di Fabio Mauri

a cura di Giacomo Zaza

La Nuova Pesa
Roma 2005


(Volume! - Cielo Vicino)



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  Nelle sale della Nuova Pesa torna -doloroso- il tema della guerra.

La guerra mi ha stravolto. Ha ribaltato la mia infanzia e giovinezza felice in una famiglia allegra e intelligente, con molti amici fra cui Pasolini. La guerra investe: è una maschera di ferro che stringe la gola”, ricorda Mauri.
Sul muro della sala principale, che è stato aggredito dall’artista per farne uscire l’intimità dei tubi e le ferite aperte delle tracce nell’intonaco, si succedono i fotogrammi del film di Grigorij Cuhraj, La ballata del soldato (1959).
Ma la vera nuova combinazione stilistica è quella della proiezione di filmati di famiglia su opere degli anni ’80 e ’90 (tra cui Cernobyl, I casi del mondo e la signora Matisse, Appendiarte, Mia cognata Marcella e la guerra civile, Zia Ines).
I ricordi riaffiorano portando con sé una scia di significati, di valori sfregiati, di metafore esistenziali su cui riflettere è un dovere.
Manuela de Leonardis
 
 
 
 

Io non cerco trovo
* , ma tutt'altra cosa.
Cercando di mettere insieme una mostra (i temi eccedevano le loro formalizzazioni), ho ritrovato una mia idea degli anni 70, modificata però.
L'idea era la proiezione sul mondo di una memoria filmata.
La pellicola, come spiego in una teoria d'epoca, proiettava su un oggetto o su persona il proprio diagramma fantastico, modificando il senso dell' oggetto (divenuto) schermo.
Forse lo completava, o entrava in contraddittorio, con efficacia.
Le 'Proiezioni' sono state sempre per me l' esperimento (citavo allora il gabinetto del dottor Calligaris) della nascita del significato.
In questa mostra oggi proietto una cronaca borghese degli anni 20 e 30 su tre miei lavori del 1990, in sospeso da allora e ora planati ad una conclusione ulteriore.
Un tempo ho pubblicato la teoria dello sguardo come gestore attivo, e passivo, di significato, non solo su cose (oggetti e persone), ma, come è ora, su opere già teoricamente d'arte.
Spezzandosi in luci e dislivelli, la superficie fa emergere strati di complessità, sottosquadri del senso. E' un caso specifico di animazione, o di sovrapposizione di segni, che produce relazioni affini, sommabili. Una comunicazione semiotica tra più ordini, di cui un ordine stabile e un ordine in moto si appropriano.
Il significato, ne "I casi del mondo e la signora Matisse", collage qui esposto, si fa sensibilmente più esplicito, senza didascalizzarsi. L' esattezza del rapporto immagini fisse e immagini in moto crea una nuova combinazione stilistica. Una volta spenta, lasciata a sé, l'opera acquista l'aria di qualcosa cui è accaduto qualche altra cosa, diversa e straordinaria, che le compete.
Il suo potere interiore ha subìto un'esplosione, si è creata una nuova figura dell'enigma espressivo, ingegnosa, certo inedita.
Anche se è vero che un' opera subisce malvolentieri uno scarto imprevisto del proprio linguaggio (che è il suo organismo), in questa azione vi si assoggetta subito. Due significati (diversi) investono l'opera ma non ne sconvolgono l' unità di senso come fa un vento forte su di un prato, o dentro una vela. Ognuno dei due sistemi evidenzia correttamente l'altro.
Ho notato che nella proiezione si succedono a tratti passaggi (simili alle dinamiche dei quadri futuristi), molto veloci, che non sono nel film, se proiettato su uno schermo convenzionale. Sono ombre della pellicola, passaggi in primo piano di comparse. Imprimono nell'opera-schermo una dinamica appena accennata, subito indelebile, non eliminabile dal nuovo prodotto poetico.
Non so bene che teoria ricavame, se da un collage, fisso nei segni che lo compongono, vi si rileva la dinamicità interna agli oggetti (disco, barattolo, foto...) colpiti dalla luce impressa di immagini in movimento. Ciò che accade, (al rogo! al rogo!), lo avverto come il contrario di un'illusione ottica.
E' un a fondo linguistico, e si rivela. Di nuovo un vero esperimento. Non fisico ma quasi. E' una termodinamica estetica. Esiste? Credo proprio di no. A mia scusa dirò che l' essenza di qualunque cosa è senza nome.Parliamo, e scriviamo certo, per metafore.
Cercavo una definizione ultima della fine, del mondo, di me. Ho trovato, invece, l'inizio di un significato, il processo della sua formazione.
Non è un caso che un singolo segno esprima senso, certo, (è là per questo), ma tenda a farlo sintatticamente, inserendosi in una stesura proposizionale.
Il concetto è un nucleo dinamico, cioè non chiuso da due lati, forse solo da uno. Non da quello del punto, semmai dalla parte della maiuscola iniziale.
Qualsiasi segno, (se può), dice la sua su l' intero universo, in cui trova posizione e il proprio senso linguistico, triangolato a ciò che gli è intorno, compreso quel che si dice.
Ringrazio Dio.

Roma 1/12/2005 - Fabio Mauri

* nota frase di Pablo Picasso
 

© Toni Garbasso