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Oltre la siepe: Nord Est Sud Ovest  

A cura di  Francesco Finotto
6 novembre 2022
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SAN DONA' DI PIAVE
Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea | Spazio Mostre "I.Battistella"

Oltre la siepe: Nord Est Sud Ovest

Ci sono domande destinate a restare senza risposta: perché gli arabi che conoscevano da secoli la teoria della diffusione della luce non hanno inventato la prospettiva? Perché i cinesi che avevano inventato la stampa hanno ignorato i caratteri mobili? Perché la fotografia è stata inventata in Occidente, anche se il paesaggio è stato inventato in Cina?

Certo sappiamo che gli arabi non erano interessati né alla figura umana, né allo spazio fisico per cui non avevano alcuna necessità di ricorrere alla prospettiva. Inoltre sappiamo che in Oriente non sono mai stati interessati alla riproduzione della realtà così com’è. La millenaria via al paesaggio cinese è poetica, fatta di acqua e montagne, luce e vento: via sublime; le raffinate stampe d’arte giapponesi di Hokusai e Hiroshige della prima metà dell’Ottocento, pur essendo preziose celebrazioni di scene quotidiane, si presentano come una successione di piani orizzontali: sono prive di spazio. È curioso che l’invenzione della fotografia in Francia (1839) sia contemporanea alla nascita del realismo in pittura, la scuola di Barbizon di Millet e Corot, che dà valore alla realtà così come si vede, ed alla ricerca di mezzi industriali per la riproduzione delle immagini stampate: una via alternativa e meno costosa dell’incisione da utilizzare nella stampa illustrata. Come se la fotografia, come gli specchi e la copula avrebbe detto Borges, fosse un modo a buon mercato per riprodurre il reale, e per questo riprovevole.

Tuttavia oggi che la fotografia è diventata pervasiva della vita quotidiana e nel mondo si scambiano migliaia di fotografie in ogni momento, sembra che tutti fotografino allo stesso modo, inseguendo i medesimi stereotipi. I vari festival della fotografia e i concorsi fotografici internazionali non fanno altro che omologare gli stili e le immagini. I software dei vari dispositivi digitali sono istruiti a riprodurre immagini sempre più perfette e a correggere le fotografie per farle somiglianti ai cliché di tendenza. Con programmi di Intelligenza Artificiale si possono creare immagini a partire da semplici descrizioni testuali.

Ma è proprio vero che nel flusso continuo delle immagini digitali si perdono tutte le differenze? Se è vero che fotografiamo quello che conosciamo, sono forse scomparse tutte le differenze culturali? Fotografiamo tutti come i nordamericani? Le ricerche, i progetti individuali dei fotografi, degli artisti che utilizzano la fotografia nei quattro angoli del mondo, riflettono solo i loro gusti, si nutrono dello scambio globale di informazioni sui canali social, seguendo le tendenze di moda, oppure conservano una radice ancorata al luogo? Sono puro Spirito del Tempo oppure anche genius loci?

Ammettiamo dunque che le differenze non siano del tutto scomparse, che continuino ad esistere, non solo nel modo di fare le fotografie, ma anche di leggerle, di utilizzarle, di consumarle. Come possiamo valutarle meglio? Possiamo dire che la diversità si apprezzi di più osservando le immagini scorrere sullo schermo del cellulare o del computer, lisce, luminose, impalpabili? Oppure dobbiamo ammettere che sia meglio confrontarle stampandole, restituendo loro fisicità, ruvidezza, resistenza? Certo, non c’è una sola risposta; il web è l’ambiente più adatto per pascolare con gli occhi, per assecondare il flusso del piacevole, per mantenere la distanza. Nel web le fotografie, anche quelle più scioccanti, urtano ma non feriscono, sono prive di asperità. Hanno tutte la stessa dimensione, la stessa fluidità: sono familiari, consuete. Scivolano via. Un contagio immediato, impaziente, che non lascia posto alla memoria. Nessun segreto, nessun residuo silenzioso che resiste al tempo: nessuna ferita. Niente che sequestri l’attenzione.

È nato così il progetto di mettere a confronto le fotografie di autori provenienti dalle quattro parti del mondo, per guardarle da vicino e discutere di identità e differenze, di trasformazione e speranza: un’area di sosta nel bel mezzo del flusso autostradale. Riunire nella stessa sala espositiva quattro diversi sguardi sul mondo è forse una curiosità infantile, un intento leggero, ma anche un modo diretto di confrontarsi con la fotografia.
Per questa prima edizione di N.S.E.W. over the hedge, promossa da culturaincorso in collaborazione con i Musei Civici Sandonatesi, abbiamo voluto ospitare nella Galleria I. Battistella a San Dona’ di Piave quattro maestri della fotografia internazionale, scegliendo quattro modi diversi di declinare metamorfosi e promessa, perdita e speranza, esplorando gli aspetti sociali ed affrontando le inquietudini individuali.

Margaret Courtney-Clarke è testimone del processo sociale che, in Namibia, unisce fragilità e speranza: una nazione di popoli e culture diverse in una terra vasta, fatta apparentemente di nulla e di luce ineguagliabile. In Cry Sadness into the Coming Rain racconta dell’esistenza precaria delle persone che vivono in un ambiente spietato: piogge scarse o assenti, scarsità di acqua e cibo.

Dave Jordano, presenta un estratto di A Detroit nocturne, un’indagine sulla sua città natale, fortemente segnata dal declino demografico ma anche teatro di rinascita e di rigenerazione urbana, rischiarata dalla luce notturna. Si tratta di qualcosa di più profondo di un atteggiamento stilistico: nel buio della notte le luci della strada che fanno brillare le facciate delle fabbriche dismesse, quelle che animano gli interni delle case, quelle delle insegne commerciali e dei motel, persino quelle dei fulmini che squarciano il cielo, si rivelano acuti messaggi di speranza e di vita.

Uma Kinoshita con Lost in Fukushima documenta nella Prefettura di Fukushima la triplice tragedia del terremoto, dello tsunami e dell'incidente nucleare che l'11 marzo 2011 ha colpito il Giappone orientale. Oltre il disastro e l’abbandono, oltre il dolore, la disperazione, la rabbia e il senso di perdita ritroviamo il coraggio e la forza interiore, la volontà di ricostruire la vita quotidiana affidandosi anche alle tradizioni religiose.

Maria Pleskova presenta Metamorphosis. Black, una serie di autoritratti in bianco e nero dove il mistero della crescita personale è mostrato utilizzando la radicalità del nero, che oscurando ciò che è trasparente dà forma alle ansie, alle paure: trasforma le ossessioni in immagini. Qualcosa che travolge lo schermo del bello e attraverso l’informe fa intravvedere la profondità del terribile e l’emancipazione del vivente.

 
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© Toni Garbasso